Le
cose sono più complicate di come le pensiamo mentre siamo imbottigliati: più
mezzi pubblici e strade più larghe, per esempio, non risolverebbero molto
Il
tempo che molti di noi passano ogni giorno bloccati in auto in un ingorgo ci fa
spesso innervosire, spingendoci a pensare quanto sarebbe facile migliorare la
situazione “se solo…”. Aggiungete a questa frase le cose che si sentono dire
più spesso, da automobilisti frustrati o politici in cerca di pubblicità – “se
si allargassero le strade”, “se ci fossero più mezzi pubblici”, “se non
avessero costruito quelle piste ciclabili” – e avrete già un primo inventario dei
più frequenti miti sul traffico. In molti casi, infatti, quelle affermazioni
sono sbagliate: quelle soluzioni “di buon senso” non renderebbero molto più
veloce il viaggio da casa al lavoro all’ora di punta. CityLab, un sito che
si occupa di urbanistica e altre questioni legate alla vita in città, ha messo
insieme alcuni delle più frequenti
convinzioni errate sul traffico, mostrando come molte delle cose che
riteniamo ovvie in realtà non lo siano. E quindi no, la corsia alla vostra
sinistra non è più veloce della vostra.
“Se
ci fossero più strade il traffico diminuirebbe”
Una
credenza diffusa è che se si costruissero più strade il traffico
diminuirebbe su quelle già esistenti. È un ragionamento di buon senso: se ci
sono 10 auto in coda su una strada a una corsia, per esempio, costruendo una
nuova corsia si distribuiranno le auto tra le due diminuendo il traffico
su ognuna. In realtà le
ricerche effettuate su questo argomento hanno mostrato che se si
costruiscono più strade, o si allargano quelle esistenti, si spinge più gente a
prendere l’auto – anche quelle persone che prima facevano a meno per via del
troppo traffico – e si peggiorano le abitudini di quelli che già la usavano: se
prima qualcuno partiva di casa presto al mattino per arrivare al lavoro ora
dormirà 30 minuti in più causando poi un ingorgo peggiore. Costruire più strade
spesso porta solo ad avere più strade trafficate: la cosa si potrebbe
evitare solo costruendo molte più strade, in modo da poter assorbire
anche il traffico indotto dagli ampliamenti.
“Più
trasporto pubblico = meno traffico”
Una
seconda diffusa credenza sui modi per diminuire il traffico è che ci vorrebbero
trasporti pubblici più efficienti e sviluppati. Ci vorrebbero, naturalmente, ma
pensare che più trasporti pubblici significhi meno traffico è come pensare che
allargare le strade renda il traffico più scorrevole: anche se è vero che
magari qualcuno comincerà a usare la metro per andare al lavoro ora che arriva
fin sotto casa, è anche vero che molte persone decideranno di cominciare a
usare l’auto ora che c’è meno traffico per strada, riportando di fatto il
problema al punto di partenza. Questo non significa che il trasporto pubblico
non sia utile alle città, ma semplicemente che non basta a ridurre il traffico:
bisogna anche disincentivare le persone a prendere l’auto, per esempio con le
“congestion charge” (i pedaggi per l’accesso in auto a certe aree della città).
“Costruire
piste ciclabili fa peggiorare il traffico”
Molti
automobilisti quando vedono che la strada che percorrono tutti i giorni viene
ridotta in larghezza per fare spazio a una corsia per le biciclette si
lamentano, pensando che questo causerà un aumento del traffico per le auto.
Questo non è sempre vero: in molti casi le piste ciclabili possono essere progettate
in modo da non avere un impatto negativo sul traffico. Per esempio: se in una
strada a tre corsie si costruisce una corsia per le bici, si può anche ridurre
la larghezza delle corsie per le auto e fare si che restino sempre tre in
tutto. Questo spesso rende il traffico anche più ordinato e scorrevole.
“Per
ridurre il traffico bisogna togliere molte auto dalle strade”
Una
credenza – spesso autoassolutoria – sul traffico
automobilistico è che anche togliendo poche auto dalle strade non si otterrebbe
nessun miglioramento tangibile sul traffico. In realtà è vero l’opposto: chi si
occupa di queste cosa sa che il traffico è un sistema “non lineare” e che
la relazione tra scorrevolezza del traffico e numero delle auto non è “uno a
uno”. Togliendo anche poche auto dalle strade si ottengono benefici
notevoli sul traffico. Una
ricerca effettuata a Boston ha mostrato che con una riduzione dell’1
per cento del numero delle auto sulle strade si sarebbe ottenuto un
miglioramento del 18 per cento nei tempi di percorrenza.
“Le
strade più larghe sono anche più sicure”
È
piuttosto facile convincersi che le strade più larghe sono anche quelle più
sicure: le auto hanno più spazio per manovrare e le biciclette e gli altri
mezzi più lenti possono stare sulla destra senza intralciare il traffico. In
realtà le strade più larghe danno una falsa percezione di sicurezza: le
strade larghe spingono spesso gli automobilisti a guidare a velocità maggiore,
rendendo quindi più pericolosa la strada per tutti. Nel caso delle biciclette,
inoltre, la strada più larga non obbliga le auto a rallentare per effettuare un
sorpasso e spesso quindi rende la manovra più veloce e rischiosa (ai ciclisti è
spesso consigliato infatti di non pedalare troppo vicini al marciapiede ma di
occupare uno spazio più ampio sulla carreggiata, per “obbligare” le auto a
rallentare quando sorpassano).
“Il
problema del traffico è che nessuno sa guidare”
“Se
la gente sapesse guidare non ci sarebbe tutto questo casino sulle strade” è in
breve l’argomentazione di chi pensa che il problema del traffico sia la scarsa
abilità alla guida di molti automobilisti. In verità le ricerche effettuate su
questo argomento hanno mostrato che sono i piccoli errori di tutti gli
automobilisti a causare grandi problemi al traffico, errori che probabilmente
commette anche chi si lamenta della guida degli altri: frenare un pochino
troppo presto, accelerare troppo tardi, non riuscire a mantenere una velocità
perfettamente costante o rispettare le distanze di sicurezza. Ognuno di questi
piccoli errori causa sul traffico un effetto a catena che si traduce in un
rallentamento complessivo delle auto. La soluzione, in questo caso, sono le
auto che si guidano da sole.
“L’altra
corsia è quella più veloce”
In
un certo senso è la madre di tutte le credenze sbagliate sul traffico, e quella
che ci fa più incavolare quando siamo in coda in autostrada (vedi al punto
precedente). Quando stiamo guidando anche in situazioni di traffico normali
tendiamo a cambiare corsia molto spesso, spostandoci su quella più a sinistra
per andare più veloce e guadagnare tempo. Uno
studio di due ricercatori dell’università di Toronto – pubblicato nel
1999 su Nature – ha tuttavia mostrato che quello che ci spinge a
cambiare corsia è spesso una specie di illusione ottica: ci sembra che la
corsia accanto alla nostra sia più veloce quando invece spesso ha la stessa
velocità media della nostra corsia.
In
breve: le auto che viaggiano sulla corsia più lenta tendono spesso a viaggiare
più vicine tra di loro, mentre quelle che viaggiano più veloci sono più
distanti tra di loro. Per superare tre auto, quindi, occorre meno tempo di
quanto non occorra a tre auto per superare noi e questo ci costringe per un
tempo molto lungo a osservare gli altri che ci sorpassano facendoci credere di
esser più lenti di quando in realtà non siamo e spingendoci a cambiare corsia.
Spesso però le velocità medie di corsie affiancate sono simili e cambiare
corsia non ci porterà a destinazione più in fretta. Questo naturalmente non è
sempre vero, ma lo è in molte più circostanze di quelle che pensiamo. Cambiare
corsia per sorpassare, inoltre, può fare peggiorare il traffico,
costringendo chi è dietro di noi a rallentare e mettendoci in “angoli ciechi”
delle auto accanto a noi (aumentando il rischio di incidenti).
"La necessità dell'uomo di muoversi il più liberamente possibile rimarrà un bisogno permanente. L'auto, rappresentando il mezzo di trasporto individuale per eccellenza, rimarrà anche in futuro e non sarà eliminata. Si ridurranno o si elimineranno del tutto le emissioni inquinanti, i problemi di approvvigionamento energetico e di sicurezza, ma rimarranno le problematiche connesse alla congestione ed alla vivibilità degli ambiti urbani derivanti dall'occupazione di spazio."
"Condizionando la localizzazione, le dimensioni, la densità, la progettazione ed il mix di funzioni nell'uso del suolo, la pianificazione locale può aiutare a ridurre la necessità di viaggiare, ridurre la lunghezza degli spostamenti e rendere più agevole per le persone camminare, andare in bicicletta o usare il mezzo pubblico. Tra le principali politiche si individuano la concentrazione dei generatori di domanda di trasporto nei centri urbani e nelle vicinanze dei principali nodi del trasporto pubblico; la localizzazione delle abitazioni nelle aree urbane esistenti, con aumento della densità sia per la residenza sia per altri usi, facilmente accessibili con modalità diverse dall'auto privata; la localizzazione nelle aree rurali, delle espansioni per residenza, lavoro, negozi, intrattenimento e servizi attorno a centri di servizi intesi come punti di riferimento anche per i trasporti; la protezione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali che potrebbero costituire elementi di criticità nello sviluppo futuro delle infrastrutture."
"E' necessario rompere il circolo perverso costituito da autobus vuoti, automobili vuote, strade sovraccariche, pagare due volte per una mobilità sempre più ridotta. Per favorire l'uso del trasporto pubblico è necessario offrire un servizio di qualità. La qualità del servizio è il fattore capace di generare un circolo virtuoso: qualità del servizio, incremento dell'utenza, migliore rapporto ricavi-costi, maggiori risorse per gli investimenti, incremento del servizio e della sua qualità. Al sistema integrato dei trasporti e delle infrastrutture va riconosciuto il carattere di servizio sociale primario, importante strumento per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale e socio-economico."
"Che si tratti di aeroporti, porti, strade, strade ferrate o vie navigabili, il prezzo d'uso delle infrastrutture dovrebbe variare secondo lo stesso principio, in funzione della categoria di infrastruttura usata, del periodo della giornata, della distanza, delle dimensioni e della massa del veicolo e di qualsiasi altro fattore che influenzi i livelli di congestione, il deterioramento delle infrastrutture e l'ambiente. Tutte le componenti dei costi esterni generati dall'attività di trasporto, ma assunti a carico della collettività anzichè delle imprese e degli utenti, sono state analizzate, pesate e confrontate per modalità e tipologia di trasporto. I dati prodotti evidenziano il peso economico determinante dei fattori distorsivi in atto nella concorrenza tra strada e rotaia."
"L'utilizzo dei carburanti tradizionali (benzine e gasolio) resta tra i principali fattori di inquinamento ambientale delle aree urbane, pur avendo fatto segnare negli ultimi anni importanti progressi sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti, anche grazie ai miglioramenti qualitativi avvenuti in combinazione con una serie di innovazioni tecnologiche introdotte negli autoveicoli. I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo, soprattutto) rappresentano indubbiamente una prima alternativa importante ai carburanti tradizionali. Allo stato dei fatti difficilmente sarà raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di sostituire nel 2010 con i biocarburanti circa il 5,7% della benzina e del gasolio. Un ritardo che però non mette in discussione la necessità di continuare a percorrere con convinzione la strada della sostituzione dei carburanti tradizionali. Altrettanto importante è la diffusione di quei carburanti che, nonostante siano anch'essi di origine fossile, presentano indubbi vantaggi ambientali rispetto alla benzina e al gasolio: metano e GPL, la cui diffusione nel sistema dei trasporti risulta ancora modesta, sebbene in crescita negli ultimi anni."
"Per le merci, la crescita è in gran parte legata all'evoluzione dell'economia europea e dei sistemi di produzione. Nel corso degli ultimi vent'anni, si è passati da un'economia di «stock» ad un'economia di «flusso». Tale fenomeno è stato accentuato dalla delocalizzazione di determinate imprese (in particolare quelle ad elevata intensità di manodopera) che hanno cercato in tal modo di ridurre i costi di produzione, spostando determinate fasi della produzione a centinaia e talvolta migliaia di chilometri dal luogo di assemblaggio finale o di consumo. L'eliminazione delle frontiere all'interno della Comunità ha contribuito allo sviluppo di un sistema di produzione «just-in-time» e di «scorte viaggianti». In assenza di misure correttive per utilizzare più razionalmente i vantaggi dei diversi modi di trasporto, nell'Europa dei 15 il traffico di mezzi pesanti aumenterà entro il 2010 del 50% rispetto ai livelli del 1998. Ciò significa che nelle regioni e sui grandi assi di transito già notevolmente congestionati aumenteranno i volumi di traffico. Anche la notevole crescita economica prevista nei nuovi paesi membri e lo sviluppo di migliori collegamenti con le regioni periferiche comporteranno un aumento dei volumi di traffico, soprattutto di quello stradale."
"Ogni attività economica è anche un atto di consumo energetico. L’energia e l’attività economica sono di fatto due forme della stessa sostanza: l’una non può sussistere senza l’altra. Storicamente, più l’uomo è stato attivo economicamente, più ricchezza ha creato, più energia ha usato per crearla. E’ un ciclo continuo: più ricchezza significa più acquisti; più acquisti determinano un aumento della domanda di prodotti che, a sua volta, richiede più fabbriche, più materie prime, e più viaggi con camion e treni dalla fabbrica al magazzino e dal magazzino al supermercato o al negozio sotto casa. L’economia globale è come una gigantesca macchina, costantemente impegnata a convertire l’energia in ricchezza. Si possono descrivere i progressi materiali di un paese in funzione del suo crescente appetito di energia e del successo che riscuote nel soddisfarlo. Le nazioni più ricche usano grandi quantità di energia, con grande raffinatezza e crescente noncuranza: a parte qualche sporadica lamentela sul prezzo della benzina o sulla bolletta della luce, la stragrande maggioranza di americani ed europei non si rende conto di usare energia, così come non si rende conto di respirare. Nell’arco dei prossimi vent’anni, i paesi con la maggiore domanda di energia saranno sempre di più quelli determinati a conquistare la stessa prosperità industriale che esiste nel mondo occidentale, ma ancora troppo poveri e tecnicamente arretrati per poter compiere scelte energetiche illuminate. I maggiori consumatori di energia del mondo sceglieranno proprio la via più rapida: continuare ad usare i combustibili, le tecnologie e le forme energetiche esistenti, gravando così ulteriormente su un sistema energetico obsoleto basato sugli idrocarburi e frenando lo studio e la ricerca di qualcosa di alternativo. "
Si deve puntare ad “armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento migliorando l’offerta di infrastrutture, mezzi e servizi: autobus confortevoli e rapidi, sedi protette per le biciclette, marciapiedi comodi e arredi urbani per stimolare la camminata, strade ben mantenute per ridurre il rischio di incidenti, chiare e diffuse segnaletiche orizzontali e verticali per favorire la guida dei veicoli privati”. E per questo “è indispensabile rivedere profondamente la strategia della convivenza tra i diversi sistemi di mobilità nelle città, con un’azione su tre fronti principali”:
1. La redistribuzione dello spazio urbano per assicurare maggiori opportunità di scelta in particolare alle soluzioni di mobilità non motorizzata, attraverso la diffusione delle misure di mitigazione della velocità, l’estensione degli spazi dedicati a pedoni e ciclisti (verde urbano, isole pedonali, piste ciclabili), la promozione di zone della città a basso impatto veicolare (quartieri car free, come nell’esperienza tedesca, olandese e inglese):
2. Il rafforzamento, nel numero e nel profilo, delle regole che disciplinano la guida dei veicoli privati e delle relative sanzioni;
3. Il rafforzamento dei sistemi di vigilanza e controllo (law enforcement) per assicurare la repressione delle infrazioni alla legge.
La ricerca di un nuovo equilibrio produrrebbe una riarticolazione degli spazi urbani e dell’organizzazione del trasporto ad evidente beneficio della mobilità ecologica e di quella collettiva, senza ledere i diritti del trasporto individuale. A suggello di una politica urbana così orientata si può infine immaginare di promuovere uno statuto dei diritti e dei doveri di chi si muove in città (non solo i diritti degli utenti del trasporto pubblico, come proposto nel Libro verde europeo sul trasporto urbano), con l’obiettivo di dare trasparenza e legittimazione ad una fase nuova di definizione delle responsabilità (doveri), accanto alle libertà e ai diritti, in particolare per quanti oggi, in assenza di una cultura rigorosa della disciplina stradale, esercitano la prerogativa di circolare con il proprio veicolo da una posizione di forza, senza dover riconoscere il principio di “pari opportunità” a chi sceglie una diversa soluzione di trasporto.
Per diventare realtà, la motorizzazione a idrogeno (per non parlare dell'economia, a idrogeno) deve superare una quantità rilevante di ostacoli scientifici e tecnologici. Difatti, nonostante tutti gli annunci, è arcinoto che le case automobilistiche vedono il futuro nelle auto ibride e, poco più in là, in quelle puramente elettriche. «L'idrogeno potrebbe avere un impatto significativo dal 2050 in poi», dice John Heywood, direttore del laboratorio automotive all'MIT. E l'accento è su quel«potrebbe».
Solo il 5% dell'idrogeno commercialmente disponibile viene dall'acqua, perché richiede troppa energia. Solitamente, viene ricavato dal metano e quindi addio ai benefici ambientali. L'unico modo per produrne tanto, e usando l'acqua, sarebbe con la fusione nucleare: una tecnologia non provata, che il mondo sperimenterà in Francia, con il progetto Iter, a partire dal 2030.
E poi c'è lo stoccaggio. A parità di contenuto energetico, l'idrogeno occupa tre volte lo spazio della benzina. Si potrebbe liquefare a temperature vicine allo zero assoluto (-253 gradi) come fa la Nasa, ma ci vuole troppa energia. La Gm ha trovato il modo di comprimere l'idrogeno, ma ci vuole un serbatoio molto grande e robusto. Non bisogna dimenticare che l'idrogeno è l'atomo più piccolo e che, per sua natura, scapperebbe da tutte le parti. Inoltre l'idrogeno può esplodere.
A questo scenario, aggiungiamo pure le difficoltà connesse al trasporto e alla distribuzione, e si capisce che gli ostacoli sono al momento insormontabili: nel mondo, ci sono oggi circa mille chilometri di condutture che trasportano idrogeno, ma costano un milione di dollari al chilometro.
È certamente lecito attendersi una messe di invenzioni e di scoperte che ci avvicineranno sempre di più verso un'economia, e una motorizzazione, all'idrogeno. L'umanità ha anche altre opzioni nel suo cammino verso un'economia a bassa intensità di anidride carbonica. L'idrogeno potrebbe anche trovare un posto, nel nostro futuro.
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