07 dicembre 2010

VII RAPPORTO SULLA MOBILITÀ URBANA

Questi i dati più significativi del Rapporto 2010 sulla mobilità in Italia, la ricerca annuale di Isfort ed Asstra che fornisce la fotografia precisa dello stato dell'arte del mercato della mobilità del Paese. Dopo un triennio di crescita ininterrotta, gli indicatori di base dei consumi di mobilità hanno segnato tra il 2008 e il 2009 un -2,1% nel numero di spostamenti e un -8,2% in termini di distanze percorse (passeggeri*km).

Il 2009 è un anno di difficile interpretazione, che va considerato per questo un anno di transizione. Sicuramente nel 2009 eventi specifici come la diminuzione del prezzo medio dei carburanti (nel 2009 rispetto al 2008) e il sostegno all'industria dell'auto tramite gli incentivi all'acquisto dei veicoli meno inquinanti hanno favorito uno shift modale a favore delle "quattro ruote".
Nel 2009 gli spostamenti urbani in automobile sono cresciuti del +4,1%, quelli in motociclo e ciclomotore sono invece diminuiti del -3,1% e infine i passeggeri del trasporto pubblico urbano hanno registrato un decremento più cospicuo, pari a -5,4% . Il decremento dei passeggeri trasportati dai mezzi pubblici ha prodotto una riduzione della quota di mercato delle modalità collettive che scendono dal 12,6% del 2008 all'11,6% del 2009. Perdono terreno anche motocicli e ciclomotori (dall'8% al 7,5%). Nella nuova ripartizione modale, quindi è solo l'automobile a guadagnare quote di mercato, riportando l'asticella della propria posizione dominante oltre l'80% (80,8%, grossomodo al livello del 2007).

Molto diversificata la situazione se si guarda alla dimensione delle città: nei grandi centri urbani (oltre 250mila abitanti), il peso del trasporto collettivo scende nel 2009 di quasi due punti percentuali rispetto al 2007, assorbendo il 27,4% di tutti gli spostamenti motorizzati (il valore più basso registrato dal 2002). In termini di passeggeri trasportati i mezzi pubblici sperimentano una diminuzione del -3,3%. Il radicamento dei vettori collettivi nelle grandi aree urbane resta comunque indiscusso: la loro incidenza è oltre il doppio della media generale e oltre sette volte rispetto a quella registrata nelle città con meno di 100mila abitanti; sempre nelle grandi città, l'automobile guadagna più o meno quanto perde il mezzo pubblico e si attesta ad una quota del 61%; motocicli e ciclomotori scendono leggermente all'11,5% (11,8% nel 2008); nei centri di piccola e media dimensione (meno di 100mila abitanti), il trasporto pubblico continua la sua discesa perdendo un ulteriore 0,7% di peso percentuale e attestando la quota modale ad un modestissimo 3,3%. Nelle aree urbane minori, il monopolio delle "quattro ruote" sale al 91,1%, mentre le "due ruote" motorizzate registrano uno share pari al 5,5% (inferiore alla media generale, ma ben superiore a quello del vettore collettivo).

Novità positive per il trasporto pubblico arrivano invece dal Mezzogiorno, unica macroarea territoriale in controtendenza nel 2009 rispetto al resto del paese per l'uso dei trasporti pubblici; la quota modale infatti cresce, e non marginalmente (+1,3 punti percentuali), attestandosi al 7%. Sostanzialmente stabile il peso dell'automobile (86%, il valore più alto tra le circoscrizioni) e in calo quello della moto (il 7% contro l'8% del 2008). Una rimonta che non serve ad eliminare il gap che separa i trasporti pubblici del Sud d'Italia col resto del Paese. Il Nord ovest del Paese resta ampiamente quella in cui la mobilità collettiva vanta nei contesti urbani la penetrazione maggiore con una quota modale complessiva superiore al 20% (quasi il doppio delle media). Nel 2009 tuttavia il valore registrato, pari al 20,8%, è di due punti percentuali inferiore a quello del 2008. Il Nord-Ovest è poi l'unica circoscrizione dove la frenata del trasporto pubblico è andato a beneficio quasi esclusivo della moto (dal 6,1% al 7,8%), piuttosto che dell'automobile (dal 71% al 71,4%); nelle regioni del Nord-Est si conferma e si rafforza la vocazione dominante all'utilizzazione dei mezzi individuali, l'auto soprattutto (83,6% di tutti gli spostamenti motorizzati, contro l'81,4% del 2008). Perdono invece peso sia i mezzi pubblici (share appena sotto il 10%), sia le "due ruote" motorizzate (6,5% contro il 7,9% del 2008); nel Centro Italia si registra la caduta più vistosa della quota modale del trasporto collettivo: dal 15,4% del 2008 al 12,1% del 2009, un valore di poco superiore alla media generale. L'automobile guadagna quasi 4 punti percentuali e si avvicina alla soglia dell'80% (78,9%), mentre la moto, tradizionalmente molto forte in questa circoscrizione soprattutto per l'"effetto-Roma" , perde un po' di peso (circa un punto percentuale), ma la quota di mercato del 9% resta la più alta tra tutte le circoscrizioni.

Dunque, la battuta di arresto del trasporto pubblico nelle grandi aree urbane si riflette nelle circoscrizioni territoriali maggiormente connotate dai poli metropolitani, ovvero il Nord-Ovest (Milano, Torino, Genova) e il Centro (Roma, Firenze). Nelle regioni meridionali, invece, il trasporto collettivo recupera qualche posizione, anche nelle grandi città; è un segnale positivo, ma il divario con il resto del Paese è ancora enorme.

La qualità percepita del servizio pubblico di trasporto è inadeguata. Ma al di là del pregiudizio, la qualità dell'offerta resta oggettivamente carente, rispetto ai tre pilastri della capillarità del servizio (frequenza delle corse e copertura del territorio), dei tempi di percorrenza (regolarità e durata) e del comfort del viaggio. Su queste dimensioni incide una gestione del servizio più o meno efficiente e in grado di organizzarsi sui bisogni dei clienti. E incide anche una disponibilità di risorse pubbliche, per il sostegno alla quantità dell'offerta e per il rinnovo del materiale rotabile.

"La necessità dell'uomo di muoversi il più liberamente possibile rimarrà un bisogno permanente. L'auto, rappresentando il mezzo di trasporto individuale per eccellenza, rimarrà anche in futuro e non sarà eliminata. Si ridurranno o si elimineranno del tutto le emissioni inquinanti, i problemi di approvvigionamento energetico e di sicurezza, ma rimarranno le problematiche connesse alla congestione ed alla vivibilità degli ambiti urbani derivanti dall'occupazione di spazio."
"Condizionando la localizzazione, le dimensioni, la densità, la progettazione ed il mix di funzioni nell'uso del suolo, la pianificazione locale può aiutare a ridurre la necessità di viaggiare, ridurre la lunghezza degli spostamenti e rendere più agevole per le persone camminare, andare in bicicletta o usare il mezzo pubblico. Tra le principali politiche si individuano la concentrazione dei generatori di domanda di trasporto nei centri urbani e nelle vicinanze dei principali nodi del trasporto pubblico; la localizzazione delle abitazioni nelle aree urbane esistenti, con aumento della densità sia per la residenza sia per altri usi, facilmente accessibili con modalità diverse dall'auto privata; la localizzazione nelle aree rurali, delle espansioni per residenza, lavoro, negozi, intrattenimento e servizi attorno a centri di servizi intesi come punti di riferimento anche per i trasporti; la protezione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali che potrebbero costituire elementi di criticità nello sviluppo futuro delle infrastrutture."
"E' necessario rompere il circolo perverso costituito da autobus vuoti, automobili vuote, strade sovraccariche, pagare due volte per una mobilità sempre più ridotta. Per favorire l'uso del trasporto pubblico è necessario offrire un servizio di qualità. La qualità del servizio è il fattore capace di generare un circolo virtuoso: qualità del servizio, incremento dell'utenza, migliore rapporto ricavi-costi, maggiori risorse per gli investimenti, incremento del servizio e della sua qualità. Al sistema integrato dei trasporti e delle infrastrutture va riconosciuto il carattere di servizio sociale primario, importante strumento per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale e socio-economico."
"Che si tratti di aeroporti, porti, strade, strade ferrate o vie navigabili, il prezzo d'uso delle infrastrutture dovrebbe variare secondo lo stesso principio, in funzione della categoria di infrastruttura usata, del periodo della giornata, della distanza, delle dimensioni e della massa del veicolo e di qualsiasi altro fattore che influenzi i livelli di congestione, il deterioramento delle infrastrutture e l'ambiente. Tutte le componenti dei costi esterni generati dall'attività di trasporto, ma assunti a carico della collettività anzichè delle imprese e degli utenti, sono state analizzate, pesate e confrontate per modalità e tipologia di trasporto. I dati prodotti evidenziano il peso economico determinante dei fattori distorsivi in atto nella concorrenza tra strada e rotaia."
"L'utilizzo dei carburanti tradizionali (benzine e gasolio) resta tra i principali fattori di inquinamento ambientale delle aree urbane, pur avendo fatto segnare negli ultimi anni importanti progressi sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti, anche grazie ai miglioramenti qualitativi avvenuti in combinazione con una serie di innovazioni tecnologiche introdotte negli autoveicoli. I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo, soprattutto) rappresentano indubbiamente una prima alternativa importante ai carburanti tradizionali. Allo stato dei fatti difficilmente sarà raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di sostituire nel 2010 con i biocarburanti circa il 5,7% della benzina e del gasolio. Un ritardo che però non mette in discussione la necessità di continuare a percorrere con convinzione la strada della sostituzione dei carburanti tradizionali. Altrettanto importante è la diffusione di quei carburanti che, nonostante siano anch'essi di origine fossile, presentano indubbi vantaggi ambientali rispetto alla benzina e al gasolio: metano e GPL, la cui diffusione nel sistema dei trasporti risulta ancora modesta, sebbene in crescita negli ultimi anni."
"Per le merci, la crescita è in gran parte legata all'evoluzione dell'economia europea e dei sistemi di produzione. Nel corso degli ultimi vent'anni, si è passati da un'economia di «stock» ad un'economia di «flusso». Tale fenomeno è stato accentuato dalla delocalizzazione di determinate imprese (in particolare quelle ad elevata intensità di manodopera) che hanno cercato in tal modo di ridurre i costi di produzione, spostando determinate fasi della produzione a centinaia e talvolta migliaia di chilometri dal luogo di assemblaggio finale o di consumo. L'eliminazione delle frontiere all'interno della Comunità ha contribuito allo sviluppo di un sistema di produzione «just-in-time» e di «scorte viaggianti». In assenza di misure correttive per utilizzare più razionalmente i vantaggi dei diversi modi di trasporto, nell'Europa dei 15 il traffico di mezzi pesanti aumenterà entro il 2010 del 50% rispetto ai livelli del 1998. Ciò significa che nelle regioni e sui grandi assi di transito già notevolmente congestionati aumenteranno i volumi di traffico. Anche la notevole crescita economica prevista nei nuovi paesi membri e lo sviluppo di migliori collegamenti con le regioni periferiche comporteranno un aumento dei volumi di traffico, soprattutto di quello stradale."
"Ogni attività economica è anche un atto di consumo energetico. L’energia e l’attività economica sono di fatto due forme della stessa sostanza: l’una non può sussistere senza l’altra. Storicamente, più l’uomo è stato attivo economicamente, più ricchezza ha creato, più energia ha usato per crearla. E’ un ciclo continuo: più ricchezza significa più acquisti; più acquisti determinano un aumento della domanda di prodotti che, a sua volta, richiede più fabbriche, più materie prime, e più viaggi con camion e treni dalla fabbrica al magazzino e dal magazzino al supermercato o al negozio sotto casa. L’economia globale è come una gigantesca macchina, costantemente impegnata a convertire l’energia in ricchezza. Si possono descrivere i progressi materiali di un paese in funzione del suo crescente appetito di energia e del successo che riscuote nel soddisfarlo. Le nazioni più ricche usano grandi quantità di energia, con grande raffinatezza e crescente noncuranza: a parte qualche sporadica lamentela sul prezzo della benzina o sulla bolletta della luce, la stragrande maggioranza di americani ed europei non si rende conto di usare energia, così come non si rende conto di respirare. Nell’arco dei prossimi vent’anni, i paesi con la maggiore domanda di energia saranno sempre di più quelli determinati a conquistare la stessa prosperità industriale che esiste nel mondo occidentale, ma ancora troppo poveri e tecnicamente arretrati per poter compiere scelte energetiche illuminate. I maggiori consumatori di energia del mondo sceglieranno proprio la via più rapida: continuare ad usare i combustibili, le tecnologie e le forme energetiche esistenti, gravando così ulteriormente su un sistema energetico obsoleto basato sugli idrocarburi e frenando lo studio e la ricerca di qualcosa di alternativo. "
Si deve puntare ad “armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento migliorando l’offerta di infrastrutture, mezzi e servizi: autobus confortevoli e rapidi, sedi protette per le biciclette, marciapiedi comodi e arredi urbani per stimolare la camminata, strade ben mantenute per ridurre il rischio di incidenti, chiare e diffuse segnaletiche orizzontali e verticali per favorire la guida dei veicoli privati”. E per questo “è indispensabile rivedere profondamente la strategia della convivenza tra i diversi sistemi di mobilità nelle città, con un’azione su tre fronti principali”: 1. La redistribuzione dello spazio urbano per assicurare maggiori opportunità di scelta in particolare alle soluzioni di mobilità non motorizzata, attraverso la diffusione delle misure di mitigazione della velocità, l’estensione degli spazi dedicati a pedoni e ciclisti (verde urbano, isole pedonali, piste ciclabili), la promozione di zone della città a basso impatto veicolare (quartieri car free, come nell’esperienza tedesca, olandese e inglese): 2. Il rafforzamento, nel numero e nel profilo, delle regole che disciplinano la guida dei veicoli privati e delle relative sanzioni; 3. Il rafforzamento dei sistemi di vigilanza e controllo (law enforcement) per assicurare la repressione delle infrazioni alla legge. La ricerca di un nuovo equilibrio produrrebbe una riarticolazione degli spazi urbani e dell’organizzazione del trasporto ad evidente beneficio della mobilità ecologica e di quella collettiva, senza ledere i diritti del trasporto individuale. A suggello di una politica urbana così orientata si può infine immaginare di promuovere uno statuto dei diritti e dei doveri di chi si muove in città (non solo i diritti degli utenti del trasporto pubblico, come proposto nel Libro verde europeo sul trasporto urbano), con l’obiettivo di dare trasparenza e legittimazione ad una fase nuova di definizione delle responsabilità (doveri), accanto alle libertà e ai diritti, in particolare per quanti oggi, in assenza di una cultura rigorosa della disciplina stradale, esercitano la prerogativa di circolare con il proprio veicolo da una posizione di forza, senza dover riconoscere il principio di “pari opportunità” a chi sceglie una diversa soluzione di trasporto.
Per diventare realtà, la motorizzazione a idrogeno (per non parlare dell'economia, a idrogeno) deve superare una quantità rilevante di ostacoli scientifici e tecnologici. Difatti, nonostante tutti gli annunci, è arcinoto che le case automobilistiche vedono il futuro nelle auto ibride e, poco più in là, in quelle puramente elettriche. «L'idrogeno potrebbe avere un impatto significativo dal 2050 in poi», dice John Heywood, direttore del laboratorio automotive all'MIT. E l'accento è su quel«potrebbe». Solo il 5% dell'idrogeno commercialmente disponibile viene dall'acqua, perché richiede troppa energia. Solitamente, viene ricavato dal metano e quindi addio ai benefici ambientali. L'unico modo per produrne tanto, e usando l'acqua, sarebbe con la fusione nucleare: una tecnologia non provata, che il mondo sperimenterà in Francia, con il progetto Iter, a partire dal 2030. E poi c'è lo stoccaggio. A parità di contenuto energetico, l'idrogeno occupa tre volte lo spazio della benzina. Si potrebbe liquefare a temperature vicine allo zero assoluto (-253 gradi) come fa la Nasa, ma ci vuole troppa energia. La Gm ha trovato il modo di comprimere l'idrogeno, ma ci vuole un serbatoio molto grande e robusto. Non bisogna dimenticare che l'idrogeno è l'atomo più piccolo e che, per sua natura, scapperebbe da tutte le parti. Inoltre l'idrogeno può esplodere. A questo scenario, aggiungiamo pure le difficoltà connesse al trasporto e alla distribuzione, e si capisce che gli ostacoli sono al momento insormontabili: nel mondo, ci sono oggi circa mille chilometri di condutture che trasportano idrogeno, ma costano un milione di dollari al chilometro. È certamente lecito attendersi una messe di invenzioni e di scoperte che ci avvicineranno sempre di più verso un'economia, e una motorizzazione, all'idrogeno. L'umanità ha anche altre opzioni nel suo cammino verso un'economia a bassa intensità di anidride carbonica. L'idrogeno potrebbe anche trovare un posto, nel nostro futuro.

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