27 febbraio 2011

EMISSIONI DI PM10


L'Italia continua a non rispettare i parametri fissati dall'Unione Europea, cosi che le emissioni di PM10 sono ancora troppo elevate rispetto ai limiti consentiti. Per questo motivo sarà giudicata dalla Corte di giustizia di Lussemburgo, insieme a Cipro, Portogallo e Spagna. A sei mesi dall’ultimo richiamo previsto dalla procedura d’infrazione, la Commissione europea, ha deciso ora di chiedere l’intervento della Corte, affinché sanzioni gli Stati membri inadempienti.

Il primo avvertimento della Commissione europea all’Italia, mediante lettera di messa in mora, risale all’inizio del 2009, subito dopo l’entrata in vigore dell’ultima direttiva europea sulla qualità dell’aria. La direttiva 2008/50/Ce (vigente dal 18 giugno 2008) imponeva ai Paesi dell’Ue di limitare l’esposizione dei cittadini alle polveri sottili, ribadendo i valori massimi di concentrazione annua (40 microgrammi al metro cubo) e di concentrazione quotidiana (50 microgrammi al metro cubo da non superare più di 35 volte in un anno solare) fissati sin dal 2005, che si può superare al massimo 35 volte ogni dodici mesi. In base a tale legge ciascuno Stato doveva dividere il proprio territorio in varie zone, e monitorarne periodicamente i livelli di inquinamento. La direttiva, inoltre, autorizzava gli Stati membri che ne avessero necessità, a chiedere una proroga per adeguarsi alle nuove norme. Le scadenze potevano slittare di tre anni (cioè fino a giugno 2011) per il rispetto degli standard di PM10 e per un massimo di cinque anni, per il biossido di azoto e il benzene.
Per ottenere la proroga occorreva dimostrare di aver adottato adeguate misure per riportare i valori di polveri sottili a norma entro il 2011, e di aver predisposto un piano di risanamento della qualità dell’aria. Dopo il primo richiamo, rivolto a dieci Stati membri (Cipro, Estonia, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna e Svezia) che non avevano ancora notificato alcuna richiesta di proroga, o non avevano formulato richieste per le zone oltre i limiti di PM10, l’Italia chiese un termine per circa 80 zone di 17 regioni e province autonome. Le proroghe furono approvate per alcune zone e respinte per la gran parte dei territori, che non soddisfacevano le condizioni richieste dalla direttiva e per cui non erano state fornite idonee garanzie sul rispetto dei tempi previsti. Il 1 febbraio 2010 la Commissione si è pronunciata sulla seconda richiesta di proroga da parte dell’Italia relativa a 12 zone di Campania, Puglia e Sicilia, approvando una sola richiesta in Campania. Il 5 maggio 2010 l’Italia ha ricevuto il parere motivato conclusivo della procedura d’infrazione. Si tratta del secondo e ultimo avvertimento scritto inviato dalla Commissione, che precede il ricorso alla Corte di giustizia di Lussemburgo. In attesa del giudizio, l’Italia adesso ha tempo fino al 31 dicembre per adeguarsi agli obblighi ed evitare eventuali sanzioni.
Qualità dell’aria, trattamento delle acque reflue, efficienza energetica degli edifici: l’Italia è in ritardo nell’applicare le norme europee, come confermano i richiami di Bruxelles al nostro Paese.
Il particolato proviene soprattutto dalle emissioni dell’industria, dei trasporti e del riscaldamento domestico e può provocare diversi disturbi alla salute come asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni. Gli Stati - come hanno fatto Italia, Cipro, Portogallo e Spagna - possono chiedere una proroga per mettersi in regola con questi limiti fino al 30 giugno 2011, a patto però di rispettare alcune condizioni. I quattro Paesi hanno superato i valori massimi di Pm10 in molte zone dei rispettivi territori nazionali, senza predisporre adeguati piani contro l’inquinamento che avrebbero fruttato la proroga al 2011. Perciò la Commissione ha deciso di adottare il pugno di ferro. Il risanamento della qualità dell’aria potrebbe partire proprio dalle città italiane che rappresentano il terreno privilegiato per attivare processi di riduzione delle emissioni inquinanti e per combattere i cambiamenti climatici migliorando la qualità della vita dei cittadini. E’ urgente un piano di rilancio del trasporto pubblico, ferroviario in primis, con l’acquisto di nuovi treni per i pendolari. Bisogna attuare, in tutte le aree più densamente urbanizzate, un piano eccezionale di 100 nuove metropolitane leggere, con grandi bus su corsie protette con semafori intelligenti agli incroci, fermate accessibili, comode e riparate. In questo modo si potrebbero togliere, in un paio d’anni, centinaia di migliaia di auto che entrano e circolano nelle città e in provincia, tutti i giorni.
Il metodo ufficiale di rilevamento riconosciuto dall’Unione europea e quindi dall’Italia (oltre che dall’Agenzia ambientale degli Stati Uniti), è quello gravimetrico che consiste nel catturare in un filtro di teflon, di quarzo o di fibra di vetro le particelle sospese in un dato volume d’aria per successivamente determinarne il peso mediante pesata manuale. Questa tecnica permette di stabilire la concentrazione in termini di massa su volume (microgrammi/m3) e viene usata sia per il PM10 che per il PM2,5.
L’aria raccolta viene campionata attraverso opportuni dispositivi che permettono di selezionare la dimensione delle particelle.
E’ possibile effettuare la misura del PM10 impiegando sistemi di misura automatici dotati di certificato di equivalenza al metodo di riferimento.
I sistemi di misura automatici per PM10 più comunemente impiegati impiegano la metodologia basata sul principio dell’attenuazione beta ossia dell’attenuazione dell’energia associata ad un fascio di elettroni, che si verifica in conseguenza dell’attraversamento di uno strato sottile di materiale. Le particelle beta vengono emesse da una sorgente radioattiva di carbonio 14 e rilevate da un contatore geiger. La misura viene fatta misurando l’assorbimento di radiazioni beta prima e dopo la cattura delle particelle sospese.

Elenco per Stato membro delle zone in cui i valori limite sono superati:

http://ec.europa.eu/environment/air/quality/gislation/exceedances.htm

"La necessità dell'uomo di muoversi il più liberamente possibile rimarrà un bisogno permanente. L'auto, rappresentando il mezzo di trasporto individuale per eccellenza, rimarrà anche in futuro e non sarà eliminata. Si ridurranno o si elimineranno del tutto le emissioni inquinanti, i problemi di approvvigionamento energetico e di sicurezza, ma rimarranno le problematiche connesse alla congestione ed alla vivibilità degli ambiti urbani derivanti dall'occupazione di spazio."
"Condizionando la localizzazione, le dimensioni, la densità, la progettazione ed il mix di funzioni nell'uso del suolo, la pianificazione locale può aiutare a ridurre la necessità di viaggiare, ridurre la lunghezza degli spostamenti e rendere più agevole per le persone camminare, andare in bicicletta o usare il mezzo pubblico. Tra le principali politiche si individuano la concentrazione dei generatori di domanda di trasporto nei centri urbani e nelle vicinanze dei principali nodi del trasporto pubblico; la localizzazione delle abitazioni nelle aree urbane esistenti, con aumento della densità sia per la residenza sia per altri usi, facilmente accessibili con modalità diverse dall'auto privata; la localizzazione nelle aree rurali, delle espansioni per residenza, lavoro, negozi, intrattenimento e servizi attorno a centri di servizi intesi come punti di riferimento anche per i trasporti; la protezione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali che potrebbero costituire elementi di criticità nello sviluppo futuro delle infrastrutture."
"E' necessario rompere il circolo perverso costituito da autobus vuoti, automobili vuote, strade sovraccariche, pagare due volte per una mobilità sempre più ridotta. Per favorire l'uso del trasporto pubblico è necessario offrire un servizio di qualità. La qualità del servizio è il fattore capace di generare un circolo virtuoso: qualità del servizio, incremento dell'utenza, migliore rapporto ricavi-costi, maggiori risorse per gli investimenti, incremento del servizio e della sua qualità. Al sistema integrato dei trasporti e delle infrastrutture va riconosciuto il carattere di servizio sociale primario, importante strumento per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale e socio-economico."
"Che si tratti di aeroporti, porti, strade, strade ferrate o vie navigabili, il prezzo d'uso delle infrastrutture dovrebbe variare secondo lo stesso principio, in funzione della categoria di infrastruttura usata, del periodo della giornata, della distanza, delle dimensioni e della massa del veicolo e di qualsiasi altro fattore che influenzi i livelli di congestione, il deterioramento delle infrastrutture e l'ambiente. Tutte le componenti dei costi esterni generati dall'attività di trasporto, ma assunti a carico della collettività anzichè delle imprese e degli utenti, sono state analizzate, pesate e confrontate per modalità e tipologia di trasporto. I dati prodotti evidenziano il peso economico determinante dei fattori distorsivi in atto nella concorrenza tra strada e rotaia."
"L'utilizzo dei carburanti tradizionali (benzine e gasolio) resta tra i principali fattori di inquinamento ambientale delle aree urbane, pur avendo fatto segnare negli ultimi anni importanti progressi sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti, anche grazie ai miglioramenti qualitativi avvenuti in combinazione con una serie di innovazioni tecnologiche introdotte negli autoveicoli. I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo, soprattutto) rappresentano indubbiamente una prima alternativa importante ai carburanti tradizionali. Allo stato dei fatti difficilmente sarà raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di sostituire nel 2010 con i biocarburanti circa il 5,7% della benzina e del gasolio. Un ritardo che però non mette in discussione la necessità di continuare a percorrere con convinzione la strada della sostituzione dei carburanti tradizionali. Altrettanto importante è la diffusione di quei carburanti che, nonostante siano anch'essi di origine fossile, presentano indubbi vantaggi ambientali rispetto alla benzina e al gasolio: metano e GPL, la cui diffusione nel sistema dei trasporti risulta ancora modesta, sebbene in crescita negli ultimi anni."
"Per le merci, la crescita è in gran parte legata all'evoluzione dell'economia europea e dei sistemi di produzione. Nel corso degli ultimi vent'anni, si è passati da un'economia di «stock» ad un'economia di «flusso». Tale fenomeno è stato accentuato dalla delocalizzazione di determinate imprese (in particolare quelle ad elevata intensità di manodopera) che hanno cercato in tal modo di ridurre i costi di produzione, spostando determinate fasi della produzione a centinaia e talvolta migliaia di chilometri dal luogo di assemblaggio finale o di consumo. L'eliminazione delle frontiere all'interno della Comunità ha contribuito allo sviluppo di un sistema di produzione «just-in-time» e di «scorte viaggianti». In assenza di misure correttive per utilizzare più razionalmente i vantaggi dei diversi modi di trasporto, nell'Europa dei 15 il traffico di mezzi pesanti aumenterà entro il 2010 del 50% rispetto ai livelli del 1998. Ciò significa che nelle regioni e sui grandi assi di transito già notevolmente congestionati aumenteranno i volumi di traffico. Anche la notevole crescita economica prevista nei nuovi paesi membri e lo sviluppo di migliori collegamenti con le regioni periferiche comporteranno un aumento dei volumi di traffico, soprattutto di quello stradale."
"Ogni attività economica è anche un atto di consumo energetico. L’energia e l’attività economica sono di fatto due forme della stessa sostanza: l’una non può sussistere senza l’altra. Storicamente, più l’uomo è stato attivo economicamente, più ricchezza ha creato, più energia ha usato per crearla. E’ un ciclo continuo: più ricchezza significa più acquisti; più acquisti determinano un aumento della domanda di prodotti che, a sua volta, richiede più fabbriche, più materie prime, e più viaggi con camion e treni dalla fabbrica al magazzino e dal magazzino al supermercato o al negozio sotto casa. L’economia globale è come una gigantesca macchina, costantemente impegnata a convertire l’energia in ricchezza. Si possono descrivere i progressi materiali di un paese in funzione del suo crescente appetito di energia e del successo che riscuote nel soddisfarlo. Le nazioni più ricche usano grandi quantità di energia, con grande raffinatezza e crescente noncuranza: a parte qualche sporadica lamentela sul prezzo della benzina o sulla bolletta della luce, la stragrande maggioranza di americani ed europei non si rende conto di usare energia, così come non si rende conto di respirare. Nell’arco dei prossimi vent’anni, i paesi con la maggiore domanda di energia saranno sempre di più quelli determinati a conquistare la stessa prosperità industriale che esiste nel mondo occidentale, ma ancora troppo poveri e tecnicamente arretrati per poter compiere scelte energetiche illuminate. I maggiori consumatori di energia del mondo sceglieranno proprio la via più rapida: continuare ad usare i combustibili, le tecnologie e le forme energetiche esistenti, gravando così ulteriormente su un sistema energetico obsoleto basato sugli idrocarburi e frenando lo studio e la ricerca di qualcosa di alternativo. "
Si deve puntare ad “armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento migliorando l’offerta di infrastrutture, mezzi e servizi: autobus confortevoli e rapidi, sedi protette per le biciclette, marciapiedi comodi e arredi urbani per stimolare la camminata, strade ben mantenute per ridurre il rischio di incidenti, chiare e diffuse segnaletiche orizzontali e verticali per favorire la guida dei veicoli privati”. E per questo “è indispensabile rivedere profondamente la strategia della convivenza tra i diversi sistemi di mobilità nelle città, con un’azione su tre fronti principali”: 1. La redistribuzione dello spazio urbano per assicurare maggiori opportunità di scelta in particolare alle soluzioni di mobilità non motorizzata, attraverso la diffusione delle misure di mitigazione della velocità, l’estensione degli spazi dedicati a pedoni e ciclisti (verde urbano, isole pedonali, piste ciclabili), la promozione di zone della città a basso impatto veicolare (quartieri car free, come nell’esperienza tedesca, olandese e inglese): 2. Il rafforzamento, nel numero e nel profilo, delle regole che disciplinano la guida dei veicoli privati e delle relative sanzioni; 3. Il rafforzamento dei sistemi di vigilanza e controllo (law enforcement) per assicurare la repressione delle infrazioni alla legge. La ricerca di un nuovo equilibrio produrrebbe una riarticolazione degli spazi urbani e dell’organizzazione del trasporto ad evidente beneficio della mobilità ecologica e di quella collettiva, senza ledere i diritti del trasporto individuale. A suggello di una politica urbana così orientata si può infine immaginare di promuovere uno statuto dei diritti e dei doveri di chi si muove in città (non solo i diritti degli utenti del trasporto pubblico, come proposto nel Libro verde europeo sul trasporto urbano), con l’obiettivo di dare trasparenza e legittimazione ad una fase nuova di definizione delle responsabilità (doveri), accanto alle libertà e ai diritti, in particolare per quanti oggi, in assenza di una cultura rigorosa della disciplina stradale, esercitano la prerogativa di circolare con il proprio veicolo da una posizione di forza, senza dover riconoscere il principio di “pari opportunità” a chi sceglie una diversa soluzione di trasporto.
Per diventare realtà, la motorizzazione a idrogeno (per non parlare dell'economia, a idrogeno) deve superare una quantità rilevante di ostacoli scientifici e tecnologici. Difatti, nonostante tutti gli annunci, è arcinoto che le case automobilistiche vedono il futuro nelle auto ibride e, poco più in là, in quelle puramente elettriche. «L'idrogeno potrebbe avere un impatto significativo dal 2050 in poi», dice John Heywood, direttore del laboratorio automotive all'MIT. E l'accento è su quel«potrebbe». Solo il 5% dell'idrogeno commercialmente disponibile viene dall'acqua, perché richiede troppa energia. Solitamente, viene ricavato dal metano e quindi addio ai benefici ambientali. L'unico modo per produrne tanto, e usando l'acqua, sarebbe con la fusione nucleare: una tecnologia non provata, che il mondo sperimenterà in Francia, con il progetto Iter, a partire dal 2030. E poi c'è lo stoccaggio. A parità di contenuto energetico, l'idrogeno occupa tre volte lo spazio della benzina. Si potrebbe liquefare a temperature vicine allo zero assoluto (-253 gradi) come fa la Nasa, ma ci vuole troppa energia. La Gm ha trovato il modo di comprimere l'idrogeno, ma ci vuole un serbatoio molto grande e robusto. Non bisogna dimenticare che l'idrogeno è l'atomo più piccolo e che, per sua natura, scapperebbe da tutte le parti. Inoltre l'idrogeno può esplodere. A questo scenario, aggiungiamo pure le difficoltà connesse al trasporto e alla distribuzione, e si capisce che gli ostacoli sono al momento insormontabili: nel mondo, ci sono oggi circa mille chilometri di condutture che trasportano idrogeno, ma costano un milione di dollari al chilometro. È certamente lecito attendersi una messe di invenzioni e di scoperte che ci avvicineranno sempre di più verso un'economia, e una motorizzazione, all'idrogeno. L'umanità ha anche altre opzioni nel suo cammino verso un'economia a bassa intensità di anidride carbonica. L'idrogeno potrebbe anche trovare un posto, nel nostro futuro.

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