17 febbraio 2014

I 7 PECCATI CAPITALI DEL TRASPORTO PUBBLICO

Nella relazione che il professor Andrea Boitani docente di Economia politica presso l’Università Cattolica di Milano, ha presentato a fine ottobre 2013 a Venezia, al convegno SiPoTra, dedicata alla riorganizzazione del trasporto pubblico locale, sono stati illustrati i 7 peccati capitali del settore e cioè l’insufficienza infrastrutturale, la ridotta quota di mercato del Tpl, una forte presenza di capacità inutilizzata, costi alti collegati a una produttività bassa e ricavi bassi a fronte di un’evasione alta, le risorse date senza criterio, la scarsa integrazione tariffaria e, infine, assenza di ammortizzatori sociali.

1) Insufficienze infrastrutturali ovvero sotto-dotazione di linee metropolitane e nelle principali città e di reti di metropolitane regionali nelle regioni più densamente popolate. Negli ultimi venti anni solo Napoli ha fatto registrare un netto aumento nella dotazione di metropolitane. I tempi di costruzione sono, in Italia, lunghissimi. Se a Madrid una linea di 41 km è stata costruita in 34 mesi (meno di un mese a km), a Roma e a Milano si è arrivati a più di un anno a km. Tutto ciò significa carenze nel cosiddetto trasporto rapido di massa, a più di vent’anni dalla L. 211/92, quello che più soddisfa le esigenze dei cittadini-lavoratori e dei pendolari-lavoratori.

2) Ridotta quota di mercato del trasporto collettivo nelle città e nelle aree metropolitane rispetto alle best practices europee. Solo Milano e (a una certa distanza) Napoli hanno quote del Tpl che si avvicinano a quelle più basse in Europa. Roma e Torino stanno ben al di sotto. In molte città italiane il possesso di auto è superiore a quello registrato nelle città europee di dimensioni comparabili. E ciò significa più auto in circolazione e più auto in sosta, con conseguente aumento del grado di congestione, con effetti negativi tanto sui ricavi quanto sui costi del trasporto pubblico di superficie. Ma la qualità di alcuni servizi è scarsa (bassa velocità commerciale e ritardi - a causa della cogestione ma anche per problemi di gestione); ancora scarsa utilizzazione delle tecnologie dell’informazione; vetture (o carrozze di treni e metropolitane) vecchie e sporche, ecc.

3) Presenza di capacità inutilizzata, dovuta soprattutto a inefficienti sovrapposizione di linee e contemporaneo sovraffollamento di alcuni servizi negli orari di punta. Per decenni si è proceduto secondo una logica additiva di servizi programmati, per dare segnali di attenzione politica, senza poi verificare gli effetti in termini di coefficienti di carico sulle singole linee o relazioni. La sedimentazione di “reti di servizi storici” è un problema non meno grave dell’allocazione dei sussidi sulla base della spesa storica.

4) Costi operativi per bus-km tra i più alti d’Europa; ricavi da traffico, al contrario, tra i più bassi d’Europa; di conseguenza, contributi pubblici tra i più alti d’Europa. I costi non sono più alti per il livello dei salari, ma per il basso livello della produttività, anche se sembra via siano sostanziose differenze tra le retribuzioni dei dipendenti delle grandi aziende pubbliche e quelle dei dipendenti delle piccole aziende private. Al di là delle patologie, sembra sia ritenuto fisiologico un mis-management che in altri settori non verrebbe tollerato, così come sembra sia tollerato un assetto contrattuale e relazioni industriali che favoriscono la bassa produttività.

5) Le risorse pubbliche per il settore non sono né abbondanti né scarse, a priori, sono semplicemente date con modalità tutt’altro che incentivanti e con persistente ritardo contribuendo alla formazione di un permanente indebitamento delle aziende, soprattutto da Roma verso Sud. In alcune regioni e in alcuni comuni, però, la situazione è patologica, come la recente, drammatica, vicenda di Napoli testimonia fin troppo chiaramente. Ancora, le risorse pubbliche vengono date senza molta attenzione per le implicazioni distributive. Non va dimenticato che, in generale, i maggiori beneficiari dei sussidi pubblici non sono necessariamente i cittadini più poveri ma quelli appartenenti ai ceti medi urbani. Chi è obbligato a usare l’automobile perché si muove in aree peri-urbane (dove i mezzi pubblici non arrivano e non possono arrivare se non a costi astronomici) non è necessariamente più ricco, ma paga tasse salate sui carburanti che contribuiscono a sussidiare il Tpl usato dai “cittadini”

6) L’integrazione tariffaria è diffusa a macchia di leopardo. Al primato della Campania - dove “Unico-Campania” è attivo dal 2003 - fa riscontro il ritardo della Lombardia, cioè la regione più popolosa e con la più intensa mobilità del paese. La politica tariffaria del settore non segue alcuna logica regolatoria. In effetti, si ha la sensazione che quella del Tpl sia una delle poche leve per la ricerca del consenso rimaste in mano ai politici locali (soprattutto comunali). I quali, quindi, usano tariffe, nomine e governance delle aziende pubbliche, rapporti con le (poche) aziende private come i principali strumenti politici a disposizione. E ciò spiega anche perché sia così difficile spostare la competenza sul settore al livello adeguato per la programmazione e il controllo. In questo settore, contro le intuizioni della teoria economica, c’è più cattura del regolato che del regolatore, anche perché il regolatore è, a un tempo, il proprietario, il committente e il responsabile politico. 

 

7) Il settore non è coperto da un sistema di ammortizzatori sociali che difenda i lavoratori coinvolti in ristrutturazioni industriali o in passaggi di gestione da un operatore all’altro a seguito di gare. L’assenza di ammortizzatori sociali ha spinto i sindacati a chiedere e i politici locali ad accettare l’inserimento di rigide clausole sociali nei bandi di gara e nei contratti di servizio, che è molto probabile abbiano avuto effetti dissuasivi della partecipazione alle gare da parte di imprese diverse dagli incumbents. Il recente accordo tra organizzazioni sindacali e organizzazioni datoriali relativamente all’accesso al fondo di solidarietà per il personale è un primo passo, ma c’è da temere si tratti di un passo insufficiente, data la potenziale entità della mobilità necessaria.

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"La necessità dell'uomo di muoversi il più liberamente possibile rimarrà un bisogno permanente. L'auto, rappresentando il mezzo di trasporto individuale per eccellenza, rimarrà anche in futuro e non sarà eliminata. Si ridurranno o si elimineranno del tutto le emissioni inquinanti, i problemi di approvvigionamento energetico e di sicurezza, ma rimarranno le problematiche connesse alla congestione ed alla vivibilità degli ambiti urbani derivanti dall'occupazione di spazio."
"Condizionando la localizzazione, le dimensioni, la densità, la progettazione ed il mix di funzioni nell'uso del suolo, la pianificazione locale può aiutare a ridurre la necessità di viaggiare, ridurre la lunghezza degli spostamenti e rendere più agevole per le persone camminare, andare in bicicletta o usare il mezzo pubblico. Tra le principali politiche si individuano la concentrazione dei generatori di domanda di trasporto nei centri urbani e nelle vicinanze dei principali nodi del trasporto pubblico; la localizzazione delle abitazioni nelle aree urbane esistenti, con aumento della densità sia per la residenza sia per altri usi, facilmente accessibili con modalità diverse dall'auto privata; la localizzazione nelle aree rurali, delle espansioni per residenza, lavoro, negozi, intrattenimento e servizi attorno a centri di servizi intesi come punti di riferimento anche per i trasporti; la protezione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali che potrebbero costituire elementi di criticità nello sviluppo futuro delle infrastrutture."
"E' necessario rompere il circolo perverso costituito da autobus vuoti, automobili vuote, strade sovraccariche, pagare due volte per una mobilità sempre più ridotta. Per favorire l'uso del trasporto pubblico è necessario offrire un servizio di qualità. La qualità del servizio è il fattore capace di generare un circolo virtuoso: qualità del servizio, incremento dell'utenza, migliore rapporto ricavi-costi, maggiori risorse per gli investimenti, incremento del servizio e della sua qualità. Al sistema integrato dei trasporti e delle infrastrutture va riconosciuto il carattere di servizio sociale primario, importante strumento per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale e socio-economico."
"Che si tratti di aeroporti, porti, strade, strade ferrate o vie navigabili, il prezzo d'uso delle infrastrutture dovrebbe variare secondo lo stesso principio, in funzione della categoria di infrastruttura usata, del periodo della giornata, della distanza, delle dimensioni e della massa del veicolo e di qualsiasi altro fattore che influenzi i livelli di congestione, il deterioramento delle infrastrutture e l'ambiente. Tutte le componenti dei costi esterni generati dall'attività di trasporto, ma assunti a carico della collettività anzichè delle imprese e degli utenti, sono state analizzate, pesate e confrontate per modalità e tipologia di trasporto. I dati prodotti evidenziano il peso economico determinante dei fattori distorsivi in atto nella concorrenza tra strada e rotaia."
"L'utilizzo dei carburanti tradizionali (benzine e gasolio) resta tra i principali fattori di inquinamento ambientale delle aree urbane, pur avendo fatto segnare negli ultimi anni importanti progressi sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti, anche grazie ai miglioramenti qualitativi avvenuti in combinazione con una serie di innovazioni tecnologiche introdotte negli autoveicoli. I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo, soprattutto) rappresentano indubbiamente una prima alternativa importante ai carburanti tradizionali. Allo stato dei fatti difficilmente sarà raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di sostituire nel 2010 con i biocarburanti circa il 5,7% della benzina e del gasolio. Un ritardo che però non mette in discussione la necessità di continuare a percorrere con convinzione la strada della sostituzione dei carburanti tradizionali. Altrettanto importante è la diffusione di quei carburanti che, nonostante siano anch'essi di origine fossile, presentano indubbi vantaggi ambientali rispetto alla benzina e al gasolio: metano e GPL, la cui diffusione nel sistema dei trasporti risulta ancora modesta, sebbene in crescita negli ultimi anni."
"Per le merci, la crescita è in gran parte legata all'evoluzione dell'economia europea e dei sistemi di produzione. Nel corso degli ultimi vent'anni, si è passati da un'economia di «stock» ad un'economia di «flusso». Tale fenomeno è stato accentuato dalla delocalizzazione di determinate imprese (in particolare quelle ad elevata intensità di manodopera) che hanno cercato in tal modo di ridurre i costi di produzione, spostando determinate fasi della produzione a centinaia e talvolta migliaia di chilometri dal luogo di assemblaggio finale o di consumo. L'eliminazione delle frontiere all'interno della Comunità ha contribuito allo sviluppo di un sistema di produzione «just-in-time» e di «scorte viaggianti». In assenza di misure correttive per utilizzare più razionalmente i vantaggi dei diversi modi di trasporto, nell'Europa dei 15 il traffico di mezzi pesanti aumenterà entro il 2010 del 50% rispetto ai livelli del 1998. Ciò significa che nelle regioni e sui grandi assi di transito già notevolmente congestionati aumenteranno i volumi di traffico. Anche la notevole crescita economica prevista nei nuovi paesi membri e lo sviluppo di migliori collegamenti con le regioni periferiche comporteranno un aumento dei volumi di traffico, soprattutto di quello stradale."
"Ogni attività economica è anche un atto di consumo energetico. L’energia e l’attività economica sono di fatto due forme della stessa sostanza: l’una non può sussistere senza l’altra. Storicamente, più l’uomo è stato attivo economicamente, più ricchezza ha creato, più energia ha usato per crearla. E’ un ciclo continuo: più ricchezza significa più acquisti; più acquisti determinano un aumento della domanda di prodotti che, a sua volta, richiede più fabbriche, più materie prime, e più viaggi con camion e treni dalla fabbrica al magazzino e dal magazzino al supermercato o al negozio sotto casa. L’economia globale è come una gigantesca macchina, costantemente impegnata a convertire l’energia in ricchezza. Si possono descrivere i progressi materiali di un paese in funzione del suo crescente appetito di energia e del successo che riscuote nel soddisfarlo. Le nazioni più ricche usano grandi quantità di energia, con grande raffinatezza e crescente noncuranza: a parte qualche sporadica lamentela sul prezzo della benzina o sulla bolletta della luce, la stragrande maggioranza di americani ed europei non si rende conto di usare energia, così come non si rende conto di respirare. Nell’arco dei prossimi vent’anni, i paesi con la maggiore domanda di energia saranno sempre di più quelli determinati a conquistare la stessa prosperità industriale che esiste nel mondo occidentale, ma ancora troppo poveri e tecnicamente arretrati per poter compiere scelte energetiche illuminate. I maggiori consumatori di energia del mondo sceglieranno proprio la via più rapida: continuare ad usare i combustibili, le tecnologie e le forme energetiche esistenti, gravando così ulteriormente su un sistema energetico obsoleto basato sugli idrocarburi e frenando lo studio e la ricerca di qualcosa di alternativo. "
Si deve puntare ad “armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento migliorando l’offerta di infrastrutture, mezzi e servizi: autobus confortevoli e rapidi, sedi protette per le biciclette, marciapiedi comodi e arredi urbani per stimolare la camminata, strade ben mantenute per ridurre il rischio di incidenti, chiare e diffuse segnaletiche orizzontali e verticali per favorire la guida dei veicoli privati”. E per questo “è indispensabile rivedere profondamente la strategia della convivenza tra i diversi sistemi di mobilità nelle città, con un’azione su tre fronti principali”: 1. La redistribuzione dello spazio urbano per assicurare maggiori opportunità di scelta in particolare alle soluzioni di mobilità non motorizzata, attraverso la diffusione delle misure di mitigazione della velocità, l’estensione degli spazi dedicati a pedoni e ciclisti (verde urbano, isole pedonali, piste ciclabili), la promozione di zone della città a basso impatto veicolare (quartieri car free, come nell’esperienza tedesca, olandese e inglese): 2. Il rafforzamento, nel numero e nel profilo, delle regole che disciplinano la guida dei veicoli privati e delle relative sanzioni; 3. Il rafforzamento dei sistemi di vigilanza e controllo (law enforcement) per assicurare la repressione delle infrazioni alla legge. La ricerca di un nuovo equilibrio produrrebbe una riarticolazione degli spazi urbani e dell’organizzazione del trasporto ad evidente beneficio della mobilità ecologica e di quella collettiva, senza ledere i diritti del trasporto individuale. A suggello di una politica urbana così orientata si può infine immaginare di promuovere uno statuto dei diritti e dei doveri di chi si muove in città (non solo i diritti degli utenti del trasporto pubblico, come proposto nel Libro verde europeo sul trasporto urbano), con l’obiettivo di dare trasparenza e legittimazione ad una fase nuova di definizione delle responsabilità (doveri), accanto alle libertà e ai diritti, in particolare per quanti oggi, in assenza di una cultura rigorosa della disciplina stradale, esercitano la prerogativa di circolare con il proprio veicolo da una posizione di forza, senza dover riconoscere il principio di “pari opportunità” a chi sceglie una diversa soluzione di trasporto.
Per diventare realtà, la motorizzazione a idrogeno (per non parlare dell'economia, a idrogeno) deve superare una quantità rilevante di ostacoli scientifici e tecnologici. Difatti, nonostante tutti gli annunci, è arcinoto che le case automobilistiche vedono il futuro nelle auto ibride e, poco più in là, in quelle puramente elettriche. «L'idrogeno potrebbe avere un impatto significativo dal 2050 in poi», dice John Heywood, direttore del laboratorio automotive all'MIT. E l'accento è su quel«potrebbe». Solo il 5% dell'idrogeno commercialmente disponibile viene dall'acqua, perché richiede troppa energia. Solitamente, viene ricavato dal metano e quindi addio ai benefici ambientali. L'unico modo per produrne tanto, e usando l'acqua, sarebbe con la fusione nucleare: una tecnologia non provata, che il mondo sperimenterà in Francia, con il progetto Iter, a partire dal 2030. E poi c'è lo stoccaggio. A parità di contenuto energetico, l'idrogeno occupa tre volte lo spazio della benzina. Si potrebbe liquefare a temperature vicine allo zero assoluto (-253 gradi) come fa la Nasa, ma ci vuole troppa energia. La Gm ha trovato il modo di comprimere l'idrogeno, ma ci vuole un serbatoio molto grande e robusto. Non bisogna dimenticare che l'idrogeno è l'atomo più piccolo e che, per sua natura, scapperebbe da tutte le parti. Inoltre l'idrogeno può esplodere. A questo scenario, aggiungiamo pure le difficoltà connesse al trasporto e alla distribuzione, e si capisce che gli ostacoli sono al momento insormontabili: nel mondo, ci sono oggi circa mille chilometri di condutture che trasportano idrogeno, ma costano un milione di dollari al chilometro. È certamente lecito attendersi una messe di invenzioni e di scoperte che ci avvicineranno sempre di più verso un'economia, e una motorizzazione, all'idrogeno. L'umanità ha anche altre opzioni nel suo cammino verso un'economia a bassa intensità di anidride carbonica. L'idrogeno potrebbe anche trovare un posto, nel nostro futuro.

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