21 ottobre 2012

ATLANTE EUROPEO DELLA SICUREZZA STRADALE


 

Gli automobile Club Europei, riuniti nel consorzio EuroRAP presentano il primo Atlante Europeo della Sicurezza Stradale, strumento per diffondere la cultura della mobilità sicura. Per l'Italia ed altri undici Paesi, su una rete stradale di 180.000 km, l'Atlante, disponibile solo on-line, contiene mappe di rischio di incidente e/o mappe che classificano le strade in base al livello di sicurezza offerto dall'infrastruttura per limitare i danni causati da incidente automobilistico. Per la realizzazione delle mappe di rischio ci si è basati sulla valutazione del rischio di incidente grave o mortale in rapporto al flusso di traffico della tratta stradale, considerando fasce di rischio standardizzate a livello europeo. L'atlante è dunque uno strumento utile a visualizzare i tratti più pericolosi secondo parametri omogenei e risulta un prezioso strumento per gli automobilisti italiani e stranieri che si mettono in viaggio.
Nel complesso risulta che:
- il 40% delle strade esaminate presentano un rischio elevato ed inaccettabile, mentre solo il 20% ha un rischio basso;
- le autostrade sono il sistema viario più sicuro ed il 99% di esse sono state classificate a basso rischio;
- il rischio di incidente mortale su una strada a singola carreggiata è quadruplo rispetto al rischio in autostrada;
- Olanda e Gran Bretagna sono i Paesi con i migliori risultati, mentre Bosnia-Erzegovina e Slovacchia presentano i rischi maggiori.
In Italia tutte le strade esaminate risultano al di sopra della media europea. Si tratta tuttavia di un risultato atteso visto che l'esame è stato condotto solo sulla rete autostradale che, come è noto, offre le maggiori garanzie di sicurezza: niente intersezioni, carreggiate separate, corsie di ampiezza adeguata, etc. Solo 3 tratte, tra quelle esaminate, sono risultate 'arancioni', cioè a medio rischio. Ciò non indica necessariamente una problematica dell'infrastruttura ma evidenzia una criticità su cui è importante indagare per cercare possibili interventi anche di regolamentazione della circolazione al fine di ridurre l'incidentalità.
Il contenuto dell'Atlante è in linea con quanto previsto dalla direttiva Europea 96/2008 sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali recepita in Italia con il Decreto Legislativo n.35 del 15 marzo 2011.

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INCIDENTI SULLA RETE AUTOSTRADALE NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2012


Nei primi nove mesi del 2012 si conferma un andamento abbastanza positivo per l’incidentalità in autostrada. Diminuisce il numero complessivo dei sinistri, dei feriti, ma torna il segno più sul numero delle vittime.
Nei primi nove mesi del 2012, secondo i dati della Polizia Stradale, sono stati registrati 19.723 sinistri, contro i 22.721 dello stesso periodo del 2011, con un calo di 2.998 impatti pari a un -13,2%.
I feriti sono stati complessivamente 9.986, in discesa del 15,2%, con 1.794 ingressi in meno al pronto soccorso rispetto allo scorso anno, quando furono 11.780.
Andamento positivo per le vittime mortali. Sull’intera rete sono state da inizio anno 216, contro le 215 del 2011, con un aumento di un decesso (+0,5%) rispetto ai primi nove mesi del 2011. Segna invece ancora una calo il numero degli incidenti mortali pari a 177, due in meno che nel 2011 (-1,1%).
C'è di che essere abbastanza soddisfatti, anche se preoccupa il ritorno, seppur minimo, del segno più nel numero totale delle vittime determinato dall'elevato numero di decessi del mese di settembre che con 33 vittime causate da diversi plurimi mortali, che hanno ribaltato la pur esigua positività fatta segnare nei primi 8 mesi del 2011.

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DATI ISTAT INCIDENTI STRADALI 2010


Dai dati definitivi degli incidenti stradali del 2010, resi noti dall’ISTAT, si rileva che, rispetto al 2009,  il totale di 211.404 incidenti fa segnare un modesto -1,9%, i morti sono stati 4.090, con una diminuzione del 3,5%, rispetto alle 4.237 vittime del 2009, i feriti, 302.735 in totale, sono calati appena dell’1,5%. Si contano ancora 579 incidenti con 11 morti e 829 feriti ogni giorno.
Nel 2009 il calo dei morti sulle strade segnò la doppia cifra -10,1%.
Nel quadro d’insieme rimangono preoccupanti i dati dei pedoni con 614 vittime, in calo del 7,9%, ma aumentano i feriti del 5,1%, per un totale di 21.367 ingressi al pronto soccorso.
Continua ad essere sempre una spina nel fianco la sinistrosità delle due ruote con 1.146 lenzuoli bianchi stesi sulle strade (943 motociclisti e 203 ciclomotoristi), a cui si aggiungono 73.966 feriti (52.026 motociclisti e 21.940 ciclomotoristi).

Il calo degli incidenti nel decennio 2001-2010 si ferma al 42,4% e non raggiunge l’auspicato obiettivo -50%, indicato dall’UE, collocandoci al 14° gradino, lontano dal podio raggiunto invece da Francia, Spagna e Lussemburgo, più le new entry delle tre repubbliche baltiche.
Rimane sempre al primo posto il numero di incidenti nelle strade urbane, anche se i sinistri calano del 2,2%, i morti del 7% e feriti del 2,1%.

Sulle statali, provinciali e comunali extraurbane il calo della sinistrosità si ferma a un modesto 0,5%, i morti -2% e i feriti crescono dello 0,2%.

Sorprende l’incremento del 7,4% della mortalità in autostrada, con 376 impatti fatali rispetto ai 350 del 2009 e dei feriti dello 0,6%, anche se gli incidenti calano dell’1%. Si dovrebbe capire se l’incremento riguarda in modo particolare i tratti non coperti da tutor.

L’analisi dei puntuali dati ISTAT-ACI soffre anche nel 2010 della mancanza di un elemento base: i dati della sinistrosità connessa all’abuso di alcol e droga alla guida.

Nel 2011 si sono verificati sulle strade italiane 205.000 incidenti stradali con lesioni a persone (-3%, rispetto al 2010), con 3.800 morti (-7,1%) e 292.000 feriti (-3,5%). Lo evidenzia la stima preliminare sull’incidentalità stradale italiana nel 2011 predisposta da ACI e ISTAT diffusa anche a Bruxelles in ambito europeo.
Il confronto a livello europeo dimostra che il tasso di mortalità (numero di morti sulle strade ogni milione di abitanti) in Italia è pari a 63 ed supera di poco la media UE. I Paesi più virtuosi sono il Regno Unito (32), Olanda, Svezia e Danimarca, mentre quelli più in difficoltà sono Polonia (109 morti ogni milione di abitanti), Grecia e Romania.
Nel nostro Paese aumenta l’indice di mortalità (numero dei decessi ogni 100 incidenti) sulle autostrade (da 3,1 del 2010 a 3,2 del 2011) mentre diminuisce sulle strade urbane (da 1,1 a 1) ed extraurbane (da 5 a 4,8).
Lo scorso anno l’Assemblea Generale dell’ONU ha proclamato un nuovo Decennio di iniziative per la sicurezza stradale, con lo scopo di ridurre ulteriormente il numero delle vittime sulle strade entro il 2020. In quest’ottica la Commissione Europea ha definito 7 obiettivi strategici per la mobilità sicura:
1) migliorare la sicurezza dei veicoli;
2) realizzare infrastrutture stradali più sicure;
3) incrementare le tecnologie intelligenti;
4) rafforzare l’istruzione e la formazione per gli utenti della strada;
5) potenziare i controlli;
6) fissare un obiettivo per la riduzione dei feriti in incidente stradale;
7) prestare maggiore attenzione alla sicurezza dei motociclisti.

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"La necessità dell'uomo di muoversi il più liberamente possibile rimarrà un bisogno permanente. L'auto, rappresentando il mezzo di trasporto individuale per eccellenza, rimarrà anche in futuro e non sarà eliminata. Si ridurranno o si elimineranno del tutto le emissioni inquinanti, i problemi di approvvigionamento energetico e di sicurezza, ma rimarranno le problematiche connesse alla congestione ed alla vivibilità degli ambiti urbani derivanti dall'occupazione di spazio."
"Condizionando la localizzazione, le dimensioni, la densità, la progettazione ed il mix di funzioni nell'uso del suolo, la pianificazione locale può aiutare a ridurre la necessità di viaggiare, ridurre la lunghezza degli spostamenti e rendere più agevole per le persone camminare, andare in bicicletta o usare il mezzo pubblico. Tra le principali politiche si individuano la concentrazione dei generatori di domanda di trasporto nei centri urbani e nelle vicinanze dei principali nodi del trasporto pubblico; la localizzazione delle abitazioni nelle aree urbane esistenti, con aumento della densità sia per la residenza sia per altri usi, facilmente accessibili con modalità diverse dall'auto privata; la localizzazione nelle aree rurali, delle espansioni per residenza, lavoro, negozi, intrattenimento e servizi attorno a centri di servizi intesi come punti di riferimento anche per i trasporti; la protezione dei nodi e dei corridoi infrastrutturali che potrebbero costituire elementi di criticità nello sviluppo futuro delle infrastrutture."
"E' necessario rompere il circolo perverso costituito da autobus vuoti, automobili vuote, strade sovraccariche, pagare due volte per una mobilità sempre più ridotta. Per favorire l'uso del trasporto pubblico è necessario offrire un servizio di qualità. La qualità del servizio è il fattore capace di generare un circolo virtuoso: qualità del servizio, incremento dell'utenza, migliore rapporto ricavi-costi, maggiori risorse per gli investimenti, incremento del servizio e della sua qualità. Al sistema integrato dei trasporti e delle infrastrutture va riconosciuto il carattere di servizio sociale primario, importante strumento per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale e socio-economico."
"Che si tratti di aeroporti, porti, strade, strade ferrate o vie navigabili, il prezzo d'uso delle infrastrutture dovrebbe variare secondo lo stesso principio, in funzione della categoria di infrastruttura usata, del periodo della giornata, della distanza, delle dimensioni e della massa del veicolo e di qualsiasi altro fattore che influenzi i livelli di congestione, il deterioramento delle infrastrutture e l'ambiente. Tutte le componenti dei costi esterni generati dall'attività di trasporto, ma assunti a carico della collettività anzichè delle imprese e degli utenti, sono state analizzate, pesate e confrontate per modalità e tipologia di trasporto. I dati prodotti evidenziano il peso economico determinante dei fattori distorsivi in atto nella concorrenza tra strada e rotaia."
"L'utilizzo dei carburanti tradizionali (benzine e gasolio) resta tra i principali fattori di inquinamento ambientale delle aree urbane, pur avendo fatto segnare negli ultimi anni importanti progressi sul piano della riduzione delle emissioni inquinanti, anche grazie ai miglioramenti qualitativi avvenuti in combinazione con una serie di innovazioni tecnologiche introdotte negli autoveicoli. I biocarburanti (biodiesel e bioetanolo, soprattutto) rappresentano indubbiamente una prima alternativa importante ai carburanti tradizionali. Allo stato dei fatti difficilmente sarà raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di sostituire nel 2010 con i biocarburanti circa il 5,7% della benzina e del gasolio. Un ritardo che però non mette in discussione la necessità di continuare a percorrere con convinzione la strada della sostituzione dei carburanti tradizionali. Altrettanto importante è la diffusione di quei carburanti che, nonostante siano anch'essi di origine fossile, presentano indubbi vantaggi ambientali rispetto alla benzina e al gasolio: metano e GPL, la cui diffusione nel sistema dei trasporti risulta ancora modesta, sebbene in crescita negli ultimi anni."
"Per le merci, la crescita è in gran parte legata all'evoluzione dell'economia europea e dei sistemi di produzione. Nel corso degli ultimi vent'anni, si è passati da un'economia di «stock» ad un'economia di «flusso». Tale fenomeno è stato accentuato dalla delocalizzazione di determinate imprese (in particolare quelle ad elevata intensità di manodopera) che hanno cercato in tal modo di ridurre i costi di produzione, spostando determinate fasi della produzione a centinaia e talvolta migliaia di chilometri dal luogo di assemblaggio finale o di consumo. L'eliminazione delle frontiere all'interno della Comunità ha contribuito allo sviluppo di un sistema di produzione «just-in-time» e di «scorte viaggianti». In assenza di misure correttive per utilizzare più razionalmente i vantaggi dei diversi modi di trasporto, nell'Europa dei 15 il traffico di mezzi pesanti aumenterà entro il 2010 del 50% rispetto ai livelli del 1998. Ciò significa che nelle regioni e sui grandi assi di transito già notevolmente congestionati aumenteranno i volumi di traffico. Anche la notevole crescita economica prevista nei nuovi paesi membri e lo sviluppo di migliori collegamenti con le regioni periferiche comporteranno un aumento dei volumi di traffico, soprattutto di quello stradale."
"Ogni attività economica è anche un atto di consumo energetico. L’energia e l’attività economica sono di fatto due forme della stessa sostanza: l’una non può sussistere senza l’altra. Storicamente, più l’uomo è stato attivo economicamente, più ricchezza ha creato, più energia ha usato per crearla. E’ un ciclo continuo: più ricchezza significa più acquisti; più acquisti determinano un aumento della domanda di prodotti che, a sua volta, richiede più fabbriche, più materie prime, e più viaggi con camion e treni dalla fabbrica al magazzino e dal magazzino al supermercato o al negozio sotto casa. L’economia globale è come una gigantesca macchina, costantemente impegnata a convertire l’energia in ricchezza. Si possono descrivere i progressi materiali di un paese in funzione del suo crescente appetito di energia e del successo che riscuote nel soddisfarlo. Le nazioni più ricche usano grandi quantità di energia, con grande raffinatezza e crescente noncuranza: a parte qualche sporadica lamentela sul prezzo della benzina o sulla bolletta della luce, la stragrande maggioranza di americani ed europei non si rende conto di usare energia, così come non si rende conto di respirare. Nell’arco dei prossimi vent’anni, i paesi con la maggiore domanda di energia saranno sempre di più quelli determinati a conquistare la stessa prosperità industriale che esiste nel mondo occidentale, ma ancora troppo poveri e tecnicamente arretrati per poter compiere scelte energetiche illuminate. I maggiori consumatori di energia del mondo sceglieranno proprio la via più rapida: continuare ad usare i combustibili, le tecnologie e le forme energetiche esistenti, gravando così ulteriormente su un sistema energetico obsoleto basato sugli idrocarburi e frenando lo studio e la ricerca di qualcosa di alternativo. "
Si deve puntare ad “armonizzare la convivenza tra i diversi sistemi di spostamento migliorando l’offerta di infrastrutture, mezzi e servizi: autobus confortevoli e rapidi, sedi protette per le biciclette, marciapiedi comodi e arredi urbani per stimolare la camminata, strade ben mantenute per ridurre il rischio di incidenti, chiare e diffuse segnaletiche orizzontali e verticali per favorire la guida dei veicoli privati”. E per questo “è indispensabile rivedere profondamente la strategia della convivenza tra i diversi sistemi di mobilità nelle città, con un’azione su tre fronti principali”: 1. La redistribuzione dello spazio urbano per assicurare maggiori opportunità di scelta in particolare alle soluzioni di mobilità non motorizzata, attraverso la diffusione delle misure di mitigazione della velocità, l’estensione degli spazi dedicati a pedoni e ciclisti (verde urbano, isole pedonali, piste ciclabili), la promozione di zone della città a basso impatto veicolare (quartieri car free, come nell’esperienza tedesca, olandese e inglese): 2. Il rafforzamento, nel numero e nel profilo, delle regole che disciplinano la guida dei veicoli privati e delle relative sanzioni; 3. Il rafforzamento dei sistemi di vigilanza e controllo (law enforcement) per assicurare la repressione delle infrazioni alla legge. La ricerca di un nuovo equilibrio produrrebbe una riarticolazione degli spazi urbani e dell’organizzazione del trasporto ad evidente beneficio della mobilità ecologica e di quella collettiva, senza ledere i diritti del trasporto individuale. A suggello di una politica urbana così orientata si può infine immaginare di promuovere uno statuto dei diritti e dei doveri di chi si muove in città (non solo i diritti degli utenti del trasporto pubblico, come proposto nel Libro verde europeo sul trasporto urbano), con l’obiettivo di dare trasparenza e legittimazione ad una fase nuova di definizione delle responsabilità (doveri), accanto alle libertà e ai diritti, in particolare per quanti oggi, in assenza di una cultura rigorosa della disciplina stradale, esercitano la prerogativa di circolare con il proprio veicolo da una posizione di forza, senza dover riconoscere il principio di “pari opportunità” a chi sceglie una diversa soluzione di trasporto.
Per diventare realtà, la motorizzazione a idrogeno (per non parlare dell'economia, a idrogeno) deve superare una quantità rilevante di ostacoli scientifici e tecnologici. Difatti, nonostante tutti gli annunci, è arcinoto che le case automobilistiche vedono il futuro nelle auto ibride e, poco più in là, in quelle puramente elettriche. «L'idrogeno potrebbe avere un impatto significativo dal 2050 in poi», dice John Heywood, direttore del laboratorio automotive all'MIT. E l'accento è su quel«potrebbe». Solo il 5% dell'idrogeno commercialmente disponibile viene dall'acqua, perché richiede troppa energia. Solitamente, viene ricavato dal metano e quindi addio ai benefici ambientali. L'unico modo per produrne tanto, e usando l'acqua, sarebbe con la fusione nucleare: una tecnologia non provata, che il mondo sperimenterà in Francia, con il progetto Iter, a partire dal 2030. E poi c'è lo stoccaggio. A parità di contenuto energetico, l'idrogeno occupa tre volte lo spazio della benzina. Si potrebbe liquefare a temperature vicine allo zero assoluto (-253 gradi) come fa la Nasa, ma ci vuole troppa energia. La Gm ha trovato il modo di comprimere l'idrogeno, ma ci vuole un serbatoio molto grande e robusto. Non bisogna dimenticare che l'idrogeno è l'atomo più piccolo e che, per sua natura, scapperebbe da tutte le parti. Inoltre l'idrogeno può esplodere. A questo scenario, aggiungiamo pure le difficoltà connesse al trasporto e alla distribuzione, e si capisce che gli ostacoli sono al momento insormontabili: nel mondo, ci sono oggi circa mille chilometri di condutture che trasportano idrogeno, ma costano un milione di dollari al chilometro. È certamente lecito attendersi una messe di invenzioni e di scoperte che ci avvicineranno sempre di più verso un'economia, e una motorizzazione, all'idrogeno. L'umanità ha anche altre opzioni nel suo cammino verso un'economia a bassa intensità di anidride carbonica. L'idrogeno potrebbe anche trovare un posto, nel nostro futuro.

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